Relazione di Carlo Rutigliano a “Costruire l’alternativa”

| Regionale

Grazie,

grazie Mariagrazia,
grazie a tutti voi,
agli amici e ai compagni di sempre,
agli ospiti che hanno voluto essere qui questa mattina,

un’assemblea è sempre un momento importante per la vita di una comunità politica. Mi piace parlare di una comunità e non solo di un partito. Perché penso che quella di questa mattina sia un’occasione particolare per tre ragioni fondamentali.

La prima è la presenza di Roberto. A cui, dopo questi anni densi, intensi e difficili di impegno come Ministro della Salute, voglio consegnare, e penso di poterlo fare a nome di tutti noi, un messaggio semplicissimo: grazie, Roberto. Grazie per il tuo impegno, grazie per la disciplina e per il rigore con cui hai svolto un compito gravoso in uno dei momenti peggiori della storia del nostro Paese. Hai fatto onore all’Italia, alla tua terra, ad una comunità che è fiera e orgogliosa di te.

La seconda ragione è che ci ritroviamo dopo tanto tempo, al netto degli appuntamenti dettati dalle esigenze più stringenti di una campagna elettorale, a fare una discussione aperta, larga, che supera i confini e le barriere che in questi anni ci hanno separato. Su questo tornerò, ma penso che sia un segnale importante. Perché sono convinto che il nostro stare assieme sia la prima fondamentale mattonella su cui costruire i mesi che verranno.

La terza ragione, forse la più importante, è che se siamo qui è perché non ci arrendiamo. Non ci rassegniamo all’idea che il destino dell’Italia e della Basilicata sia consegnato nelle mani della destra. Se siamo qui è perché siamo consapevoli della necessità di costruire un’alternativa e vogliamo farlo con il massimo della determinazione.

Questo, non dobbiamo nascondercelo, nonostante quella del venticinque settembre sia stata una sconfitta forte. Tremenda sotto tanti punti di vista.

Molte delle cause di quel risultato sono da ricercarsi nella cronaca degli ultimi mesi. Mentre la destra è riuscita a trovare le ragioni dell’unità dopo aver trascorso tutta la scorsa legislatura marciando in ordine sparso, noi abbiamo pagato la divisione di un campo che con lavoro e fatica avevamo provato a costruire. Ottenendo risultati importanti e spesso inaspettati in una legislatura quanto mai complessa, tanto sul piano politico, quanto su quello del Governo.

Dirselo è necessario, ma non sufficiente. Perché oltre alle ragioni legate all’attualità, i motivi alla base della sconfitta affondano le proprie radici più lontano e più in profondità.

Perché quando una parte importante del Paese, spesso la più fragile, la più debole, sceglie di non votarti o, peggio, sceglie di non votare, chi porta la bandiera della sinistra non può pensare di ridurre la propria analisi allo schema di gioco con il quale la squadra è scesa in campo.

Abbiamo bisogno di una grande discussione sull’identità. Su chi siamo e su chi vogliamo rappresentare. Nascondersi questa verità, o pensare di ridurre tutto ad un cambio della guardia alla guida di un partito, sarebbe una soluzione senza onestà.

La Costituente proposta dal Partito Democratico è l’occasione per provarci. Articolo Uno ha scelto di starci convintamente, e lo ha fatto forte della sua storia, del suo DNA, della sua missione di fondo. Che non è mai stata, e mai sarà, quella di costruire un piccolo partito della sinistra identitaria, velleitario o minoritario. L’ennesima sigla da aggiungere alla seconda pagina dei sondaggi televisivi.  

Al contrario abbiamo sempre avuto l’ambizione di contribuire a rifondare un centrosinistra che coltivasse l’ambizione del Governo ad ogni livello. Dal Parlamento al Consiglio Comunale. Ci siamo sempre fatti guidare dalla convinzione che il nostro compito fosse quello di incidere concretamente sulla qualità della vita delle persone. Perché con meno di questo la sinistra non ha ragione di esistere.

Prendere parte al percorso Costituente per noi significa questo: costruire insieme il pilastro fondamentale del campo dell’alternativa alla destra. Un campo che fuori dai partiti e dalle Istituzioni ha tante energie da intercettare ed organizzare. Lo si vede dai primi segnali di reazione a questo Governo. Penso agli studenti che proprio in queste ore si mobilitano per chiedere un’opposizione che sappia andare oltre le proprie divisioni, penso al mondo del lavoro che il 16 Dicembre sarà in piazza contro la manovra finanziaria, penso al popolo che poche settimane fa ha fatto di Roma la capitale della pace in una giornata bellissima che abbiamo condiviso con tanti di voi. C’è tanta sinistra fuori dalle sigle più o meno consumate di questo tempo e c’è un mondo cattolico in cammino lungo la strada tracciata da Papa Francesco.

Servirà riconnettere mondi e culture diverse. Dovremo farlo con umiltà e generosità e al tempo stesso con coraggio e determinazione. Ripensare tanto, forse tutto. Perché quello che c’è non funziona, e quello che serve è tutto da costruire.

Dovremo essere capaci di seminare il campo di quel terzo di Paese che ha scelto di non votare e mettere insieme i tanti che hanno un’idea diversa da quella della destra che governa tanto l’Italia, quanto la Basilicata.

Perché fuori da noi, fuori dalla nostra capacità di stare insieme, di andare anche oltre le divisioni del passato, guardate, c’è solo la destra.

La destra che si mostra debole con i forti e forte con i deboli. La destra che taglia le risorse a chi non ha di che mangiare mentre strizza l’occhio agli evasori. La destra che si dimentica dei giovani, di chi vive ai margini del mondo produttivo del Paese e riesce ad entrare nel mondo del lavoro, nel mondo dell’indipendenza personale, solo con il contagocce.

Una destra che vorrebbe riportarci al tempo in cui il lavoro si compra in tabaccheria con un vaucher, come un pacchetto di sigarette. Senza tutele, senza diritti. Per cui sanità ed istruzione pubblica sono un costo da tagliare e non il pilastro su cui costruire una società giusta. Una destra che vorrebbe riportare indietro di decenni l’orologio della storia in tema di diritti civili.

Una destra che noi, in Basilicata, conosciamo fin troppo bene.

La conosciamo per come amministra le nostre città. Vedo diversi Consiglieri comunali di Potenza.

Un’amministrazione, quella del Capoluogo, a cui oramai non manca solo una visione a lungo termine e la programmazione necessaria per realizzarla, ma che giorno dopo giorno arretra sul piano della capacità di assolvere all’ordinaria amministrazione della città, sbandando drammaticamente finanche nella gestione dei servizi essenziali. Una stagione che sta peggiorando la qualità della vita dei cittadini e ipotecando il futuro della città.

Storia, purtroppo, non diversa da quella a cui siamo costretti ad assistere tanto in numerose altre città, quanto in Regione.

Su questo ho usato e voglio usare le parole più chiare possibili.  Giorno dopo giorno, settimane dopo settimana il Governo Bardi si dimostra essere il peggiore della storia di questa regione. Ogni consiglio regionale è diventato un colpo alla credibilità della politica e delle Istituzioni lucane.

Perché quando raccogli tanti voti sull’onda di una richiesta di cambiamento e finisci per essere permanentemente assorbito da una guerra di potere tutta interna e incomprensibile ai più, mentre lasci che le esigenze dei lucani spariscano dall’agenda e dal dibattito pubblico, il minimo che può accadere e che le persone si convincano che il proprio voto sia inutile, e vadano ad ingrossare le fila dei tanti che il venticinque di settembre sono rimasti a casa.

Sul piano del Governo, poi, questa esperienza rischia di lasciare segni indelebili a cui sarà complesso porre rimedio.

Quella del gas verrà ricordata come la più grande operazione di propaganda mai realizzata e allo stesso tempo come la più grande occasione persa per la nostra regione.

Con la significativa quantità di risorse a disposizione avremmo potuto dare risposte alle famiglie, strette tra inflazione e caro bollette, e contemporaneamente diventare un modello nazionale dal punto di vista energetico.

Avremmo potuto e dovuto chiedere per tempo la deroga agli aiuti di Stato per le imprese, inserire un criterio di progressività per le famiglie e potenziare le misure adottate dal Governo Draghi su lotta alla povertà energetica e transizione ecologica.

Avremmo dovuto usare le risorse del gas per affrancarci dal gas. E avremmo potuto farlo scaricando a terra economia e ripensando un pezzo di politica industriale della nostra regione. Un treno che difficilmente vedremo passare di nuovo.

Così come rischiamo che diventi irreversibile lo stato della sanità lucana. Assenza di progettazione, carenza di medici e infermieri, lunghe liste di attesa e una crescita della mobilità sanitaria sono la spia della condizione generale di una regione ferma sul piano economico e sociale, senza alcun avanzamento sul terreno degli investimenti, del lavoro, della condizione di vita delle famiglie.

In ultimo la posizione del Presidente Bardi sul disegno di legge Calderoli rischia di essere la peggiore di una lunga lista. L’Autonomia differenziata, infatti, rischia di segnare la fine dell’unità nazionale. La coesione del Paese rimarrebbe una bandiera da sventolare durante le partite degli azzurri perché poi, nei fatti, avremmo venti staterelli diversi tra loro e applicare il criterio della spesa storica in materia di sanità, istruzione, trasporti, significherebbe avere conseguenze devastanti sulla vita reale dei cittadini di una piccola regione come la Basilicata.

Di fronte ad una destra pericolosamente inadeguata ad ogni livello, tanto sul piano del Governo quanto su quello politico, abbiamo la responsabilità di dare forza e vigore all’alternativa. E le settimane che abbiamo davanti sono l’occasione farlo. Per trasformare un momento di difficoltà, una sconfitta elettorale, in una opportunità di rinascita, imparando dai nostri errori.

Dobbiamo infatti imparare, contro il pensiero di molti, che le ideologie esistono ancora, fanno ancora presa e sono ancora determinanti. Fratelli d’Italia ne è la prova, il partito più suffragato del Paese è anche il più ideologico dell’arco costituzionale. La Meloni ha proposto messaggi basici dal potere evocativo: Dio, Patria e famiglia. Lo ha fatto con un linguaggio semplice senza trascurare l’importanza dei simboli. Anzi, ha rianimato la loro potenza culturale. Ha così costruito un’ancora di salvezza a cui gli italiani, tra le onde che agitano questa fase storica, si sono aggrappati senza indugiare.

Dobbiamo imparare a restituire dignità al partito quale elemento fondamentale della nostra democrazia il cui valore torna sempre prepotente. Solo i grandi soggetti organizzati, radicati nel Paese attraverso reti di prossimità, riescono a maturare una visione chiara e definita della società e di quello che le occorre. Un esempio su tutti è il Movimento 5 Stelle. Nato contro i partiti, nel segno della democrazia diretta e della totale disintermediazione, è finito con il replicare il modello che doveva soppiantare.

Piuttosto, come un mantra, dovremmo ripeterci che il partito funziona se animato dal desiderio di dare rappresentanza ad una parte di società, e non può esistere esclusivamente come specchio di una leadership.

Ma soprattutto dobbiamo imparare che la vera modernità sta nella tradizione dei nostri valori fondamentali. La sinistra negli ultimi anni, nel provare ad interpretare un mondo che ogni giorno è nuovo, è finita con l’aprire le vele al forte vento liberista con la rotta stabilita dal mercato, nella convinzione che la società e l’economia fossero in grado di autoregolarsi e garantire ricchezza e benessere per tutti. Il risultato è stato la sciagurata stagione dei tagli. Meno spesa sanitaria, meno spesa per l’istruzione, meno welfare e più disuguaglianze. Una polveriera che deflagrando ha messo in fuga disorientata la nostra gente.

“Proprio quando tutto sembra perduto – diceva Gramsci – bisogna rimettersi tranquillamente all’opera ricominciando dall’inizio”. Sono convinto che serva recuperare esattamente quello spirito.

Dobbiamo ripartire dai fondamentali. Da noi. Dalle nostre parole d’ordine. Senza paura dobbiamo recuperare la parte buona delle nostre storie per declinarla in un tempo nuovo, in cui tutto è cambiato. Nell’economia, nella società, nella politica. Ma per riuscirci dobbiamo avere il coraggio di rimettere in discussione tutto.

Abbiamo una strada solo se ci riappropriamo della questione sociale. La chiave è rimettere al centro i problemi concreti delle persone. Le preoccupazioni di chi vive l’incertezza del futuro e troppo spesso si sente dimenticato.

l lavoro, la difesa della sanità e della scuola pubblica come le tre indispensabili gambe di una società giusta. La lotta contro le diseguaglianze come principio essenziale della nostra identità e come faro delle nostre azioni. La progressività come principio per la redistribuzione della ricchezza. La tutela dell’ambiente come urgenza improrogabile.

Sabato lo ribadiremo in piazza, a Roma, in una grande manifestazione in cui ci ritroveremo tutti assieme, con il Partito Democratico e con tante e le tanti ancora. Poi ne discuteremo nella nostra Assemblea Nazionale del 17 e 18 Dicembre, dalla quale uscirà la proposta per la Costituente.

Sono convinto che abbiamo davanti a noi l’opportunità della costruzione di un pensiero nuovo, la ricerca di un linguaggio in grado quel pensiero di raccontarlo, la responsabilità della rinascita – chiudo esattamente da dove sono partito – di un senso di comunità che in tanti, anche tanti di noi, oggi pensano di aver perso.

Se l’avvenire si costruisce un passo alla volta, questo è certamente il primo. Non sprechiamolo.

Buon lavoro a tutti noi.

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