Rutigliano: Ora la destra si può battere, ma serve una novità politica.

| Rassegna Stampa

Pubblicata su “Il Quotidiano del Sud” del 24 Ottobre 2021

di Leo Amato

POTENZA – La destra in Basilicata è di nuovo battibile. Ma soltanto se a sinistra si continuerà a guardare oltre se stessi, e altrettanto faranno i cinque stelle. Come avvenuto a Rionero, e al ballottaggio di Pisticci. Senza l’ansia di accasarsi in un unico grande partito,  per concentrare gli sforzi sulla creazione di una «novità politica» capace di riportare al voto tante persone deluse. Ne è convinto Carlo Rutigliano, trentunenne segretario regionale di Articolo Uno da poco meno di cinque mesi. Al Quotidiano del Sud ha parlato dei risultati delle ultime elezioni amministrative, come pure del tema di una possibile riunione con gli ex compagni del  Partito Democratico. Un tema che nei giorni scorsi ha fatto ingresso anche nel dibattito tra i democratici lucani, in vista della designazione della loro nuova segreteria regionale.

Come valuta il voto nei comuni lucani che hanno rinnovato sindaci e consigli comunali?

«Penso che dalle elezioni amministrative in Basilicata arrivino due messaggi. Il primo è che la destra, che ormai governa la Regione da due anni e mezzo, può essere battuta. Accade a Rionero, a Pisticci e nella maggioranza dei centri che sono andati al voto. Il secondo è che, oggettivamente, nessuno può dire di bastare a se stesso. Penso che dalle amministrative si evinca in maniera molto forte la necessità di chiudere la stagione delle divisioni, che pure è stata lunga in Basilicata, e di recuperare uno sforzo unitario. Perché dove si vince vincono progetti plurali, unitari, larghi ed inclusivi. Quindi la necessità di riorganizzare il campo democratico e progressista lavorando ad un’alleanza strutturale con il Movimento Cinque Stelle.»

Ma questo nuovo campo democratico e l’alleanza con il Movimento Cinque Stelle andrebbero tenuti distinti?

«Si. Sono due cose diverse ma camminano di pari passo e sono necessarie l’una per l’altra»

Giovedì il Quotidiano ha pubblicato un’intervista ad uno dei fondatori del Partito Democratico in Basilicata, Erminio Restaino, che ha lanciato un appello al segretario nazionale del PD, Enrico Letta, perché sospenda il congresso regionale in attesa che si completi la formazione del nuovo campo democratico. Lei che ne pensa?

«Non entro nel dibattito interno del Partito Democratico perché sono il segretario regionale di un altro partito. Lo rispetto e credo che sia una discussione su scelte che stanno ai dirigenti e agli iscritti del PD. Con il PD c’è una dialettica di altro tipo. Discutiamo di cosa serve alla Basilicata e al Paese. Certe scelte le faranno al loro interno.»

E’ più lusingato o più infastidito da questo tipo di considerazioni?

«Io penso che sia positivo che il Partito Democratico veda quello che c’è al di fuori di se stesso. E non vale soltanto per la Basilicata. Quando dico che serve la necessità di ricomporre una sinistra plurale, parlo del motivo per cui è nato Articolo Uno. Perché non si basta a se stessi, e c’è tanto fuori dai partiti e dalla strutture politiche che può essere intercettato. Quello delle Agorà Democratiche, che è un percorso che ci interessa e di cui faremo parte, sta esattamente su questo terreno: chiamare a raccolta un mondo che in questo momento è fuori dal PD, e cominciare a dirsi dove siamo, dove vogliamo andare, quale strada tracciamo assieme, quale programma costruiamo per la Basilicata e per l’Italia, e come troviamo le formule per farlo assieme.»

Quindi lei cosa vede all’orizzonte? Un nuovo partito unico con il PD o una federazione?

«Io starei al fondo delle questioni. Se c’è un dato che emerge da queste elezioni amministrative è che metà del Paese non va a votare perché è orfano di una offerta politica, che negli ultimi dieci anni è venuta prima dai 5 stelle, e poi dalla Lega, che hanno rappresentato una novità. Bisogna costruire una novità. Quello che proviamo a dire al Partito Democratico è questo. Il tema non è il rapporto tra noi e loro, tra i rispettivi gruppi dirigenti. Tagliata così diventa una cosa di vertice che non serve a nessuno. Il punto è se ci si riesce a mettere in moto e si riesce a mettere in campo una novità politica. Poi se questa si traduce in una federazione o in un nuovo partito non fa differenza. Le formule per stare assieme si troveranno. L’Ulivo era un percorso che dava l’idea di una novità che stava arrivando. Io penso che al centrosinistra italiano serva una cosa molto simile.»

Di fatto dopo L’Ulivo arrivò il PD. 

«Tendeva ad un partito. E’ stato un percorso di costruzione che mirava ad una novità. Ma vale per la Basilicata come per l’Italia. Oggi non bastano a se stessi né i più grandi, come il PD, ne i più piccoli, come Articolo Uno. Non bastano i Cinque Stelle. Alle amministrative abbiamo lavorato per mettere assieme cose che assieme non stavano. Per fare da collante di un progetto più largo che dove è riuscito è risultato vincente. I grandi successi al primo turno di Bologna e Napoli stanno esattamente in questo lavoro di costruzione di un’alternativa ampia e plurale al centrodestra. In Basilicata c’è stato il successo di Rionero. Ma anche nei secondi turni, da Roma a Pisticci, è stato il dialogo con i Cinque Stelle che ha portato alla vittoria del centrosinistra. Pur senza accordi formali. Se c’è un’altro grande sconfitto in queste amministrative, assieme alla destra, è la linea politica di chi voleva saldare Lega e Movimento 5 Stelle.»

Quindi con i renziani che si fa? Il PD lucano, di cui Restaino sottolineava la persistente velleità di rappresentare l’intero centro sinistra, un tempo era quello, in Italia, in cui la componente renziana era più forte. E alle ultime amministrative, Italia Viva, ha giocato partita tutta sua, in qualche caso sostenendo anche candidati di centro destra. 

«Non in Basilicata, ma nel modo, dagli Stati Uniti alla Germania, su lavoro, ambiente e salute, si stanno organizzando visioni diametralmente opposte che si chiamano destra e sinistra. Penso che bisognerà scegliere da che parte stare. Se c’è chi pensa che destra e sinistra pari siano, e vuole dividere il campo in responsabili ed irresponsabili, credo che compia un errore. Dalle grandi alle piccole questioni ci sono differenze di fondo non superabili. Guardiamo, ad esempio, alla questione fiscale. C’è un mondo che dice flat tax, e un mondo che dice progressività. E’ chiaro che bisogna scegliere. Non per una questione di organizzazione dei partiti, ma per una richiesta che viene dalla società. Non si potrà stare con un piede di qua e uno di la, come Italia Viva ha fatto in questa tornata di amministrative in Basilicata. Non puoi festeggiare contemporaneamente il sindaco eletto con Fratelli D’Italia e quello eletto con il PD, perché sono due letture del mondo diametralmente opposte.»

Perché uno non dovrebbe festeggiare se ha sostenuto, con dei propri candidati in consiglio, Giuseppe Maglione a Melfi e Domenico Albano a Pisticci?

«Per me è un approccio che non avrà futuro.»

Anche se dovesse essere approvato un nuovo sistema elettorale di tipo proporzionale?

«Certo. Un sistema proporzionale alla tedesca consentirebbe all’Italia di recuperare un pò di agibilità nella dialettica politica e di ridare forza ai partiti. Io vedrei come un fatto positivo se dovesse esserci la riorganizzazione di un centro moderato e liberale. Ma credo che in questo momento, nella società prima ancora che nel sistema politico, il centro sia una chimera. Tutti ne parlano, dopo di che, alla stretta, ce n’è molto poco. Le grandi questioni di fondo che saranno centrali nei prossimi anni porteranno alla divisione del campo politico in destra e sinistra. Ad un certo punto bisognerà decidere dove stare.»

Vale anche per Calenda?

«Assolutamente. O si sta di qua, o di la.»

Come valuta il lavoro svolto da Roberto Speranza al Governo, prima con Giuseppe Conte, ora con Mario Draghi?

«Credo che dobbiamo essere orgogliosi del lavoro fatto da Roberto. Con il tempo i ricordi si affievoliscono, ma voglio ricordare che l’Italia è stata sostanzialmente il primo paese occidentale colpito dalla pandemia dopo la Cina. Le misure messe in campo da Roberto, e dal Governo Conte in quella fase erano inedite. Penso al lockdown. Le abbiamo prese per primi in Europa e nel mondo occidentale. Siamo stati degli apripista nella primissima fase. Dopo di che oggi i dati ci dicono che siamo tra le nazioni messe meglio dal punto di vista epidemiologico. Il che dimostra che le misure che sono state prese, la scelta della gradualità e del rigore, ha pagato. Mentre Roberto e un intero Paese hanno mantenuto la barra dritta, c’è stata invece una destra che diceva “un giorno A, e un giorno B” a seconda del vento e di come poter recuperare qualche consenso in più. Se siamo davvero alla fine di questa situazione, penso che si debbano riconoscere a Roberto i risultati ottenuti.»

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